"...L’obiettivo è stato quello di creare un lavoro artistico estremo, che non tenesse conto delle convenzioni (sia della poesia che della canzone) e che affrontasse alcuni importanti temi filosofico-esistenziali, senza paura di non piacere a un pubblico. Puri e liberi. Senza compromessi. Con la convinzione però che, trattandosi di temi che riguardano la nostra esistenza e quindi tutti noi, avrebbero bene o male incontrato il favore di molti, se non di tutti..." da Vi diremo le parole che non volete sentire

giovedì 9 giugno 2016

Cap. 13 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

13 - La più triste delle più belle storie

Se ci fosse stato qualcuno a osservare quello che stava succedendo quel giorno sulla spiaggia, sarebbe stato perlomeno perplesso. Un bambino con gli occhi chiusi lanciava un pallone approssimativamente nella direzione di un vecchio con gli occhiali neri, a volte mancandolo completamente, a volte colpendolo in varie parti del corpo, la testa, una gamba, la pancia, la parte bassa del ventre. Dopo che aveva lanciato il pallone, il bambino apriva gli occhi, andava a raccoglierlo, lo portava correndo nelle mani del vecchio e ritornava nella sua posizione originale, richiudendo gli occhi. Nessuno dei due riusciva a catturare il pallone con le mani gli arrivava, a parte una volta che, per pura fortuna, il vecchio lo lanciò in modo che arrivasse esattamente nelle mani dell’altro. Come per un tacito accordo mai pronunciato, in quel momento il gioco finì, con il bambino che gridò “Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!” e subito dopo corse verso l’acqua per tuffarsi nelle acque fresche del mare.
Quel giorno fu un giorno diverso da tutti gli altri, perché il vecchio, per la prima volta dopo tanto tempo, non andò verso il faro, ma continuò a camminare su e giù in quel tratto di spiaggia dove avevano giocato al pallone, irrequieto, come se improvvisamente non sapesse più dove andare.
Il bambino, quando uscì dall’acqua, si diresse direttamente verso di lui e disse: “Quella storia, non mi hai raccontato ancora niente. Perché sei stato così male quando ti ha detto... mi pare... che era caduta nelle tue braccia...?”
Il vecchio scosse la testa, come se volesse dire di no, o forse era un gesto di sconforto, perché si rendeva conto che non c’era proprio nulla da fare di fronte alla tenacia e alla testardaggine di un bambino, che avrebbe dovuto capitolare, sarebbe stato costretto a dire tutto, magari anche quello che aveva taciuto a se stesso. Forse capiva che nel momento in cui l’avrebbe detto sarebbe diventato reale di nuovo, il passato avrebbe riconquistato il presente come un’onda inarrestabile e così il futuro sarebbe cambiato per sempre. 
Sospirò, perché fu costretto ad accettare la realtà di quello che stava per dire, e con essa tutto il dolore che per anni aveva cercato di spegnere in quei cerchi senza fine che disegnava sulla spiaggia.
Con il tono di chi stesse per raccontare la più magica delle fiabe, il più importante di tutti i racconti, la più triste delle più belle storie mai raccontate, cominciò: “C’era una volta, una... terza volta in un paese lontano, al di là degli alberi, dove il mare si stende infinito fino oltre l’orizzonte, una donna bellissima, i cui lunghi capelli neri scendevano sulla morbida pelle delle spalle per arrivare fino sui fianchi. Stava insieme ad un uomo che l’amava intensamente, l’accudiva, le era fedele e non pensava a nessun’altra donna. Lei lo stimava, lo apprezzava, lo considerava l’uomo ideale che una donna potesse volere, però non l’amava. Erano altri tempi, quando la fiamma della vita ti ardeva dentro come un bambino che volesse uscire al più presto per camminare per le strade del mondo. Non c’era verso allora di fermarlo, sarebbe stato come dire al cuore fermati! o al respiro smettila! Semplicemente a quel tempo non era possibile fare a meno di essere se stessi. Eravamo giovani... diversi, puri, esseri di un altro pianeta che provavano sentimenti che ora è difficile comprendere interamente... forse, se ci incontrassimo adesso, non ci riconosceremmo...”


La prima di tutte le donne

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